domenica 1 aprile 2012

L'albero - Julie Bertuccelli - 2011

L'albero - Julie Bertuccelli
Gli O'Neil vivono felicemente con i loro quattro figli nella campagna australiana. Un giorno un infarto coglie il padre mentre è alla guida del suo furgone ed ha con sé la piccola Simone (otto anni). L'automezzo si arresta contro il grande fico che si trova dinanzi alla loro abitazione. Da quel momento Simone, che non vuole accettare la scomparsa del padre, si convince che il suo spirito viva nell'albero e comunichi con lei. Si opporrà in ogni modo al suo abbattimento anche quando le radici inizieranno a minacciare la sicurezza della casa.

Che l'albero sia una figura simbolica universale è cosa nota. Ben lo sapeva l'estensore del Libro della Genesi che affianca l'Albero della vita a quello della conoscenza del Bene e del Male. Così come lo hanno saputo in tanti nella varie forme d'arte ivi compreso il cinema e Terrence Malick con il suo The Tree of Life passando per la foresta di Avatar. Ne è estremamente consapevole Julie Bertuccelli che, già con il suo lungometraggio d'esordio (Da quando Otar è aprtito), aveva affrontato con tocco delicato e coinvolgente il tema della perdita di una persona cara. Torna ad occuparsene con questo film ancora una volta non privilegiando un unico punto di vista. Perché da un lato troviamo la piccola Simone che non intende rassegnarsi alla morte del padre (a cui ha assistito) e dall'altro troviamo sua madre Dawn (alba in inglese) che, pur soffrendo terribilmente, non rinuncia alla possibilità di un nuovo inizio per sé e per i suoi figli. In tutto ciò l'albero espande le sue radici, si libera di un ramo morto, ospita volatili. Ognuno di questi accadimenti, visto da un essere dominato dalla razionalità, si trasforma in un semplice evento naturale, visto in una dimensione spirituale diventa ‘altro'. Bertuccelli non ci propone una lettura animista del mondo che circonda ma ci invita a non dimenticare di prestare attenzione al sentire dei più piccoli senza per questo doverne necessariamente fare proprie le percezioni.







C'è un'immagine molto significativa che segue di poco il prologo. Il furgone del padre trasporta nella landa deserta una casa prefabbricata. Così come quell'abitazione si fa segno di una futura stabilità precaria (non necessariamente dal segno negativo) così le radici del fico sembrano voler marcare una permanenza ineluttabile così come un'impossibilità di elaborazione del lutto. Non è necessariamente così, ci suggerisce Bertuccelli nel finale, senza sfociare nel relativismo ma con un'intensa attenzione alle potenzialità del divenire.


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